La storia di Liliana Resinovich cambia volto: non un suicidio, ma un omicidio agghiacciante. Scopri cosa è emerso dalle nuove indagini.
Per due lunghi anni, la morte di Liliana Resinovich era stata archiviata come un tragico gesto estremo, un suicidio silenzioso avvenuto in un parco di Trieste il 14 dicembre 2021. Ma oggi, quella verità si sgretola. O meglio, si trasforma in un incubo ancora più profondo: omicidio.
La donna, 63 anni, sarebbe stata uccisa dal marito, Sebastiano Visintin, ex fotografo oggi sotto accusa da parte della Procura. La dinamica che emerge dalle nuove indagini è agghiacciante: Liliana sarebbe stata strangolata nella loro casa alla periferia della città, poi chiusa in due sacchi della spazzatura e abbandonata nel verde, come se la sua vita – e il suo corpo – non valessero più nulla.
Un colpo tremendo alla verità che si credeva acquisita. All’inizio, i segni sul corpo erano stati considerati compatibili con un suicidio. Ma già allora qualcosa non tornava. Come poteva una donna chiudersi da sola in due sacchi neri e decidere di morire in quel modo? Eppure, nonostante questi dubbi, la storia venne frettolosamente classificata come una scelta personale.
Oggi, a distanza di tempo, sono le analisi forensi a parlare. A urlare, anzi. Il referto autoptico indica una “soffocazione esterna diretta”, incompatibile con un gesto autonomo. I sacchi, esaminati con attenzione, contenevano tracce biologiche e impronte riconducibili al marito. E dai telefoni, emergono spostamenti sospetti nella zona dove il corpo fu trovato.
Sebastiano Visintin, oggi 65 anni, era noto nell’ambiente culturale triestino. Dopo la morte della moglie aveva continuato a frequentare commemorazioni, mostrandosi distrutto, apparentemente spezzato dal dolore. Ma chi conosceva la coppia racconta un’altra storia. Un matrimonio difficile, fatto di litigi e ombre. Un rapporto segnato dalla paura. “Liliana era dolce, ma negli ultimi mesi sembrava spaventata”, confida un’amica. Nessuno, però, immaginava un epilogo simile.
La domanda più inquietante resta: come è stato possibile che un delitto così crudele sia stato scambiato per un suicidio? Gli investigatori ammettono che nella fase iniziale ci furono errori. Si diede troppo peso alla depressione di cui Liliana soffriva, e troppo poco ai segnali che raccontavano un’altra verità.
Ma la sua famiglia non si è mai arresa. Non ha mai accettato l’idea che Liliana si fosse tolta la vita. “Non era da lei – racconta il fratello –. Non potevamo credere che fosse finita così”. E aveva ragione.
Oggi, con Visintin indagato per omicidio volontario e occultamento di cadavere, resta un’altra battaglia: quella per ottenere giustizia. Non solo in tribunale, ma anche nel cuore. Per una madre che non meritava un simile destino. E per una bugia che è durata troppo a lungo.
Il caso Resinovich ci lascia con una lezione amara: quando le indagini vengono condotte con superficialità, la verità può restare sepolta per anni. Come Liliana, nascosta in due sacchi neri, dimenticata da chi doveva proteggerla.
E allora la domanda diventa inevitabile: quante altre storie come questa sono rimaste inascoltate?
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